21.12.09
Manifesto del nullismo natalizio
non addobbate le case.
non scrivete biglietti d'auguri.
non telefonate a persone ormai perdute.
non effettuate visite di cortesia.
non litigate per le assegnazioni dei pranzi festivi dai parenti.
non correte la vigilia di natale per gli ultimi regali.
non fate durare il cenone più di un'ora al massimo.
non commuovetevi di fronte alla famiglia riunita.
non dite, che freddo è proprio tempo di natale.
17.12.09
Dicembre sui davanzali
È inverno.
Di sotto, su sentieri di esili impronte che fan gincane nella neve, attende la gatta dei vicini. In questo freddo ingrato, gonfia nella pelliccia tricolore, s’accontenta di resti di resti, slinguettando briciole inadatte alla sua stazza, poco più calde e nutrienti della neve. Dagli alberi intorno la spiano cince e pettirossi, che tu a tua volta spii non visto dalla finestra, ed è tutto un balletto silenzioso.
La cinciarella, ignara, continua a deliziarti. Se potessi faresti anche più piano, nel timore che la sola carezza degli occhi possa mettere in fuga la piccolezza resoluta, il vivido gomitolo di gialli e azzurri e neri. Immobile, osservi il suo impegno e la sua soddisfazione, ti rendi palo sotto le sue occhiate rapide e frequenti, palo fermo e inanimato. Poi, sul più bello, la vedi afferrare col becco una briciola grande, intera, e spiccare il volo dal bordo che dà nel bianco.
11.12.09
Devo andare a lavorare
Ma se sopravvivere vuol dire perdersi, allontanarsi, distaccarsi, spezzarsi, snaturarsi, dissolversi, annientarsi, da se stessi, ridursi allo stato di bestia, sopravvivere è veramente la cosa più difficile per un essere umano!
Non è più facile vivere?
A rigor di logica non fa una piega eppure ogni giorno sopravvivo. Giunta a questa consapevolezza e a quella che a rigor di logica è più facile vivere ma che non so farlo, devo trovare il modo per ‘’sopravvivere pienamente’’ altrimenti sopravvivo a metà e vivo a metà e penso a metà e soffro a metà e tutto è a metà e niente è fino in fondo. Fondo, fondo, fondo, toccare il fondo, a volte può servire, forse. Toccare il fondo cosa significa?
Perdersi, allontanarsi, distaccarsi, spezzarsi, snaturarsi, dissolversi, annientarsi, da se stessi veramente, diventare cinici nel profondo e poi da li rinascere, riconquistare giorno dopo giorno l’importanza di ogni cosa, sceglierla daccapo con consapevolezza vera questa volta.
Potrebbe andare così, non lo so. Ma so che non sono capace di riuscirci.
Cosa posso fare allora? Potrei licenziarmi. Potrei, ma non posso. Ho un mutuo, un’assicurazione vitae, una casa da mantenere, le tasse universitarie da pagare, i libri e poi non potrei più viaggiare, e poi non ho più vent’anni.
Insomma neanche questa possibile soluzione è fattibile. Cosa posso fare allora?
Cambiare me stessa. Si bella idea, cambiare. Ma so che non sono capace di cambiare anche perché cambiare un po’ significherebbe, perdersi, allontanarsi, distaccarsi, spezzarsi, snaturarsi, dissolversi, annientarsi, da se stessi veramente, diventare cinici nel profondo e poi da li rinascere, riconquistare giorno dopo giorno l’importanza di ogni cosa, sceglierla daccapo con consapevolezza vera questa volta. Insomma, neanche cambiare me stessa può essere una soluzione. Ma allora non c’è una soluzione?
Devo rassegnarmi a svegliarmi tutte le mattine con il peso in testa, nelle braccia, nello stomaco, sulle ginocchia, alle caviglie, nei piedi, in ogni lembo di pelle, oddio non ce la faccio, ci deve essere una soluzione, un approccio diverso a questo vivere quotidiano che prevede che io vada a lavorare tutti i giorni, nello stesso posto, a fare le stesse cose, a discutere degli stessi problemi, con le stesse persone, ad ascoltare i soliti discorsi, nella stessa prigione in cui mi nutro di pane e acqua tutti i giorni, pane e acqua, sopravvivenza.
E’ tardi, devo andare a lavorare, ci penserò domani.
4.12.09
Una grande storia
Giuro che lo faccio. E sai come? Ti racconto una storia, ma una di quelle storia che proprio non puoi staccarti dalla pagina. Davvero. Senti che dico, non appena leggerai i primi righi, non riuscirai a staccarti.
Ti racconto una di quelle storie, ma una di quelle storie che giuro, non ti scorderai. T'invento certi personaggi che non hai mai visto da nessuna parte poi t'invento certi dialoghi che sembra di vederli al cinema e poi t'invento certi intrecci narrativi che non ci capisci più niente. Lo vedi ? Già ti stai incollando alla pagina. Già sei curioso e vorresti sapere come va a finire la storia, ma siamo ancora all'inizio e questo è il bello delle grandi storie, devi avere pazienza che a poco a poco ti appassioni e non la lasci più.
Questa storia, dicevo, è una di quelle storie, ma una di quelle storie che davvero non si leggevano da anni, ma tu rispondi al telefono ora, non t'incollare troppo che tanto lo scritto rimane, rispondi - che potrebbe essere qualche notizia importante, qualcuno che non senti da tanto, ma se succede che non rispondi a telefono perchè continui a leggere e non riesci proprio a staccarti vuol dire allora che questa storia davvero ti sta incollando alla pagina e io che te la sto narrando sono un grande scrittore, uno di quelli che incolla alla pagina perchè ho la capacità di non farti rispondere ad una telefonata che potrebbe essere importante ma che tu eviti pur di non staccarti dalla pagina.
E allora la vuoi sentire sì o no questa storia? Guarda che è una grande storia, una di quelle storie che non ti scordi più e se aspetti giusto due minuti, guarda, te la racconto tutta perchè merita davvero, devo giusto ricordarmi da dove cominciare perchè i fatti sono tanti, dammi solo due minuti e cominciamo. Giuro, solo due minuti e siamo pronti. Ma tu non ti muovere altrimenti non capisci più niente. Capito? Io sono lì fra due minuti, solo due minuti.
3.12.09
Le cose
30.11.09
Ragionamenti
27.11.09
Poesia di Natale
Così ora eccomi lì col foglio bianco, dopo che mi scrivono la mail con nero su bianco "aspettiamo il tuo testo". Cioè,la poesia sul Natale.
Ora, mi chiedo, esiste forse un tema più difficile che una poesia di Natale? Che se parli dello spleen della città, del consumismo, del panettone, sei scontato. Se parli di cosa ti cucinava tua nonna, del ritrovo in famiglia, di te coi regali a tre anni, sei retorico. Se parli del freddo, della neve, della notte, sei naive. Se parli del tema religioso... e come fai a parlare del tema religioso partendo dal Natale in una poesia di Natale? E' tutto molto complicato. Allora un flash: ricordo di aver comprato anni fa un libro di Brodskij dal titolo "Poesie di Natale". E rammento chiaramente di non averlo mai letto tanto bene per il motivo, appunto, che c'erano "poesie di Natale", il che è piuttosto respingente, quantomeno per me, a ben vedere. Però, uno si dice, forse provare a leggerla, una poesia di Natale di Brodkij, perché no, potrebbe anche aiutare a trovare una strada... e trovo questi versi, che sono solo l'inizio di una poesia più lunga, e mi dico: però, Broskij, lui ce l'ha fatta a scriverla la poesia di Natale.
Il secondo Natale in riva al Ponto
che non è mai ghiacciato. La stella
dei re Magi sul recinto del porto.
Non posso dire di non riuscire
a vivere senza te - visto che vivo.
Come da questa pagina è evidente.
Esisto: trangugio la mia birra, imbratto
fogli, e l'erba, la calpesto.
25.11.09
maddormentavo (ovvero amanti del matarazzo)
Ronfavo come una caffettiera indecisa.
Maddormentavo di notte, manco a dirlo, ma ad una velocità tale che i compagni di letto - dormivamo in tanti all'epoca, a turni, ma io c'ero sempre, stakanovista del cuscino - venivano a controllare che fossi ancora vivo.
Maddormentavo a lezione, poca cosa direte, ma in prima fila in faccia al professore, che non poteva fare altro che fermare la lezione.
Maddormentavo in treno, fino all'ultima stazione - non mia - fino al capolinea sull'autobus, in macchina per tutto il viaggio, fossero curve e tornanti o comoda autostrada.
Maddormentavo in fila alla posta, dal salumiere, dal dentista durante l'otturazione, in Chiesa al confessionale, negli spogliatoi dei negozi d'abbigliamento, in spiaggia sulla sabbia e in mare al largo. Maddormentavo in piedi, sul prato, in ginocchio, accoccolato, seduto col rivolo di bava, dopo l'ultimo singulto di piacere, dopo aver fatto la domanda sbagliata.
Maddormentavo durante la resa dei conti.
"Dormi chiossai d'u matarazzu", mi dicevano. E mi piaceva sentirmelo dire - sarà che in dialetto novarese il materasso è tuttaltro che statico: mi diceva, sogna e vai.
post it # 27

24.11.09
e se c'hai
23.11.09
Domani parto
un ombra terra ghiacciolo di menta
passa mia madre però non mi vede
due vieni qui zitto con me c’è posto
tre quattro trema per la corsa il piede
mese di spine cinque resto ferma
sei cuore in gola appallottolato
sei cuore in gola è ancora troppo presto
sei pomeriggio sai che ti aspettavo
sette otto nove dieci non ti volti
dieci mollette per i miei codini
dita di miele chiamano le mosche
ginocchia rosse lividi di guerra
undici piani pieni di balconi
terra pestata sotto il sempreverde
dodici ombra tredici paura
urla gradini il sole come scotta
‘ttordici è toppa è toppa è toppa
quindici sediciassette diciotto
aspetto ancora aspetto aspetto aspetto
siamo a settanta fine della conta
da qui ti vedo faccia di matita
domani parto viaggio pesci mare
da qui ti vedo scattano le gambe
erba discesa un salto sono fuori
è muro è casa ti sfioro mi tocchi
liberi tutti nessuno mi batte
liberi tutti nessuno mi batte
liberi tutti nessuno...
Tre romanzi in sei righe

Data la presenza di un pianoforte, la polizia di Brest ha ritenuto che le riunioni del candidato Barde Artigues non fossero di carattere elettorale. Contravvenzione. Ammenda.
***
Ieri a Rouen il signor Colombe si è ucciso con un colpo di rivoltella. Nel marzo scorso sua moglie gliene aveva sparati tre. I due erano in attesa di divorzio.
***
Senza casa né lavoro, Louis Lamarre aveva però qualche soldo in tasca. E' entrato in una drogheria di Saint-Denis, ha comprato un litro di petrolio, e se l'è bevuto.
(Félix Fénéon, Romanzi in tre righe, Adelphi)
22.11.09
E ha detto

Il leone e il Cronopio
Leone Ti mangio.
Cronopio (addoloratissimo ma con dignità) E va bene.
Leone Ah, no. Non cominciamo a fare il martire. Mettiti a piangere o lotta. A te la scelta. Altrimenti, come posso mangiarti? Muoviti, sto aspettando. Non dici niente?
Il cronopio non dice niente, e il leone è perplesso, finché non gli viene un'idea.
Leone Meno male che mi si è conficcata una spina nella mano sinistra che mi dà molta noia. Toglimela e ti perdonerò.
Il cronopio gli toglie la spina e il leone se ne va mugugnando contrariato. Grazie, Androclo.
(Storie di cronopios e di famas, J. Cortazar, trad. Flaviarosa Nicoletti Rossini)
Come Dorothy salvò lo Spaventapassere
Dorothy, ancora stordita dal vino che le avevano quasi a forza tracannato in gola, si mise ad osservare assorta lo Spaventapassere. Era brutto, bruttissimo. Aveva l’acne, i capelli stopposi e i denti marci. Portava una camicia di flanella a scacchi ( come ai bei tempi del grunge ) e pantaloni rosa corti al polpaccio che mostravano calzini di spugna da tennista sotto un paio di mocassini grigi.
Mentre Dorothy osservava incuriosita lo strano esemplare che si contorceva rimanendo fermo nello stesso posto, si meravigliò di vedere che di tanto in tanto uno dei brufoli vulcanici che assediavano il volto dello Spaventapassere si gonfiava ed esplodeva da solo, rilasciando un liquido verdastro che gli colava addosso ricoprendolo di filamenti maleodoranti. In più, al tipo gli colava il moccio dal naso e gli finiva direttamente in bocca, dato che lo Spave aveva le mani legate dietro la schiena.
Quando si accorse che lui la guardava, la ragazzina gli si avvicinò ad osservarlo meglio.
- Oh allora? – disse lo Spaventapassere con voce un po’ provata.
- Hai parlato? – domandò sbalordita la bambina.
- Abbiamo qui la figlia di Einstein! – commentò sarcastico lo Spaventapassere.
- Come stai? – domandò la piccola, che era stata educata dalle suore ad essere sempre educata come una suora.
- Dimmi, cara, come vuoi che stia con un paletto infilzato su per il culo? – rispose lo Spaventapassere col sorriso più accomodante possibile.
- Non vuoi scendere? – domandò Dorothy.
- Secondo te?! –
Dal tono disperato dello Spaventapassere, Dorothy intuì che doveva aiutarlo. Non senza difficoltà riuscì a staccare il fantoccio dal palo: era tutto pieno di secrezioni, tanto che le insozzò parte del vestitino pulito.
- Mamma mia – sospirò quello, appena poggiata la suola dei mocassini per terra. – Adesso mi sento di nuovo un po’ più uomo. Se non avessi avuto anche le emorroidi… -
Poi, fattosi più gentile, si rivolse alla ragazzina: - Chi sei? E dov’è che te ne vai? E che fai venerdì sera? C’hai da fumare?
La bimba rispose pronta: - MichiamoDorothyedevoandareinquelpostoadincontrarequeltalemisembrasichiamiilmagodiOzzychemiaiuteràafarmitornareacasasanaesalva.
- Che ?! –
Dorothy ripeté più lentamente.
- Ozzy? – domandò lo Spaventapassere. – Ozzy quello dei Black Sabbath? -
- Oh io questo non lo so, - rispose malinconica Dorothy. – So solo che lui è un uomo molto potente. -
- Io ne so meno di te, - fece quello, trattenendo con tutte le forze una poderosa scorreggia perché in fondo si trovava sempre in presenza di una ragazzina.
- Com’è che non scappi via da me inorridita? – le chiese, sinceramente incuriosito.
- A scuola mi hanno insegnato ad avere compassione di tutti. –
- Beh, sai, io sono uno Spaventapassere. Appena una passera mi scorge – anche una passerina come te – di solito si dilegua subito… -
- Mi fai una gran pena – disse lei con sincerità tutta infantile.
Lo Spaventapassere mandò giù il boccone amaro e si limitò a chiederle: - Pensi che se venissi con te in quel posto dove stai andando, Ozzy risolverebbe anche qualcuno dei miei problemi? Non che io ne abbia particolarmente bisogno, ma sai… -
- Non saprei proprio, - rispose Dorothy, - ma vieni pure con me, se ti fa piacere. Se Ozzy non ti darà quello che cerchi, certo peggio di così non potrai diventare.
Brutta peste di merda, pensò lo Spaventapassere. Ma si cacciò le mani in tasca e non disse altro.
21.11.09
malcelati (ovvero il parto del primo post)
Ho malcelati, ascolto meglio il dolore e sento che parte da metà schiena, come se avessi sollevato il baricentro della città - che resta basso e la lascia salda al suolo attaccata a se stessa.
Ho malcelati, dico, ma ormai sento che parte dal coccige come se avessi preso una culata a terra, cazzo, scivolato sul ghiaccio.
Ho malcelati, e arriva dalle ginocchia, dalle piante pesanti dei piedi, dalle spalle, dalla pancia, dall'addome e dallo stomaco.
Più cerco di descriverlo, più lo sento, più si espande, scricchiola per il corpo, muta forma e entità, si fa acuto e pulsante, martellante e costante, oppressivo.
Adesso è lui che scrive, per mano mia.
Guardo lo schermo ad occhi semichiusi, per il dolore d'aghi alle pupille: il Malcelati adesso è tanto gagliardo da volersi firmare, ma sono io a dover trovare il finale, perché lui non ha fantasia, sa solo dolere.
20.11.09
malditesta (ovvero il parto del primo post)
Ho maldistesta, ascolto meglio il dolore e sento che parte da metà schiena, come se avessi sollevato il baricentro della città - che resta basso e la lascia salda al suolo attaccata a se stessa.
Ho malditesta, dico, ma ormai sento che parte dal coccige come se avessi preso una culata a terra, cazzo, scivolato sul ghiaccio.
Ho malditesta, e arriva dalle ginocchia, dalle piante pesanti dei piedi, dalle spalle, dalla pancia, dall'addome e dallo stomaco.
Più cerco di descriverlo, più lo sento, più si espande, scricchiola per il corpo, muta forma e entità, si fa acuto e pulsante, martellante e costante, oppressivo.
Adesso è lui che scrive, per mano mia.
Guardo lo schermo ad occhi semichiusi, per il dolore d'aghi alle pupille: il Malditesta adesso è tanto gagliardo da volersi firmare, ma sono io a dover trovare il finale, perché lui non ha fantasia, sa solo dolere.
I vecchi al supermercato
19.11.09
Interno giorno
Si mordevano, succhiavano, graffiavano,carezzavano, spremevano, spingevano.
- Va bene, basta così. Buona questa.
Si rivestirono velocemente, qualcuno spense i fari e la telecamera. Poi la troupe andò in pausa pranzo.
La vita in un secchio
Il giorno dopo, tornato da scuola e finito di pranzare, Tedspal era sceso in carbonaia. Si era chiuso dentro col chiavistello e si era guardato intorno nella penombra caligginosa. Aveva trovato il secchio nero e polveroso del carbone. L'aveva preso. Si era seduto per terra e se l'era piazzato davanti, fra le ginocchia. Aveva cominciato a sputarci dentro. La saliva era un pezzo del suo corpo, un pezzo importante, un "fluido", come gli avevano insegnato a scuola, quindi lui avrebbe sputato. Sputato e ancora sputato, fino a consumarlo tutto, quel fluido. Fino a morire.
Prima o poi suo padre sarebbe sceso per avviare la caldaia. Avrebbe girato l'interruttore di bachelite nero, acceso la luce e trovato il secchio traboccante. Si sarebbe guardato i piedi e avrebbe visto le suole a mollo in un basso strato diffuso di un liquido vagamente schiumoso e nero, anche quello nero, nero di carbone. Avrebbe avuto giusto il tempo di domandarsi "Ma che diavolo...?", poi lo sguardo gli sarebbe caduto sulla punta delle scarpe di Tedspal, che occhieggiavano da un angolo della montagnola fossile. Si sarebbe precipitato là dietro. Avrebbe trovato il suo cadavere, il cadavere di suo figlio. E in un'epifania di disperazione avrebbe compreso, la sua bocca si sarebbe spalancata in un urlo straziante che avrebbe fatto accorrere l'intero caseggiato.
Era passata un'ora. Tedspal aveva sputato, sputato con impeto e concentrazione, sputato ancora e ancora, la gola riarsa, la polvere di carbone che gli irritava gli occhi e gli mozzava il respiro. Gli si erano anche spaccate le labbra. E la saliva aveva cominciato a consumarsi. Presto. Prima del previsto. Troppo rapidamente. Era rimasto lì a osservare quei cerchietti umidi e insignificanti sul fondo incrostato del secchio. Cocciuto, aveva ripreso a sputare, finché non gli era montato un dubbio atroce, il dubbio di non farcela. All'ora di merenda era ancora vivo. Vivo, assetato e affamato. A malincuore, l'orgoglio un po' ferito, ci aveva rinunciato. Impossibile. La sua era un'impresa impossibile. Troppa fatica.
Da allora Tedspal non si è più suicidato.
18.11.09
davvero stupido
mare verde moccio

Quanto ai piccoli piaceri, come stavo dicendo: ti rendi conto del piacere illecito e sensuale che provo quando mi scaccolo il naso? E' così da quando ero piccola. Una sensazione con una gamma infinita di sottili sfumature. L'unghia affilata del mignolo, così sottile, può raggiungere le incrostazioni e i frammenti di muco della narice e tirarli fuori per guardarli, sbriciolarli tra le dita e con un colpetto farli cadere sul pavimento ridotti in minuscole croste. Oppure l'indice, più grosso e risoluto, può spingersi in alto e tirar giù e fuori grumi di muco giallo-verdognolo, cedevoli ed elastici, appallottolarli fra pollice ed indice per poi spalmare questa sfera gelatinosa sotto il piano della scrivania o della sedia, dove si solidificheranno in incrostazioni organiche. Quante scrivanie e quante sedie ho imbrattato delle mie secrezioni da quando ero bambina? Oppure quante volte mescolato al muco ci sarà del sangue: in secche scaglie marroni o nella goccia vermiglia che all'improvviso macchia il dito troppo rudemente impegnato a raschiare le membrane nasali. Dio, che sensazione voluttuosa! E' avvincente guardare con occhi nuovi abitudini vecchie di anni: vedere un inaspettato "mare verde moccio", lussurioso, pestilenziale, e rabbrividire per l'emozione della scoperta.
(Sylvia Plath, Diari, Adelphi)
17.11.09
effetti collaterali #3
Allora era andato da un altro medico. Anche perché gli dava fastidio la luce, quella forte. La luce dei neon, gli dava fastidio. E poi quando aveva il mal di testa e guardava le cose, sembrava che uno gliele spostasse proprio mentre le guardava, che non stessero ferme. Chissà se era il mal di testa, pensava. O erano gli effetti collaterali della medicina. Allora era andato da un altro medico che gli aveva detto che aveva un’aura oftalmica, ma lui questa cosa non l’aveva mica capita bene, quella dell’aura oftalmica. Però suonava bene. Mi sa che domani va in ufficio e quando entra dice “oh, ci ho l’aura oftalmica, io”. Tanto per vedere cosa dicono gli altri.
Sostituzioni
dico questa cosa perché ieri sera, al cinema, ho visto una con dei piedi orribili che se li avessi io li nasconderei che altro non saprei che farci. invece quella ragazza, perché era una ragazza, giovane, indossava delle scarpe molto basse ed aperte che mettevano perfino in evidenza l'orribilità di quei piedi orribili, brutti e sgraziati. era una cosa veramente spiacevole da vedere, impossibile non notarli e non rimanere ipnotizzati una volta notati ed a me è venuto in mente che io, nel periodo in cui odiavo i miei piedi, che poi in realtà son dei piedi normalissimi, anzi adesso a distanza di anni li trovo perfino belli i miei piedi e mi domando cos'è che a vent'anni non mi piaceva di loro, ma, all'epoca, io li odiavo i miei piedi mi sembravano i piedi più orribili dell'universo ecco, in quel periodo in cui io odiavo i miei piedi io portavo, anche i piena estate, scarpe che li coprivano completamente, non vi era, nel mio armadio, una scarpa aperta che facesse neanche intravedere la carne, le dita. nulla. d'inverno scarponcini, d'estate le espadrillas o le cinesi. ecco, secondo me quelle coi piedi orribili che non si vergognano di mostrare i loro orribili piedi secondo me stanno tanto meglio di me. ma tanto.
(dal blog spritzallaperol.blogspot.com - per gentile concessione)
dico questa cosa perché ieri sera, al cinema, ho visto una con dei maiali orribili che se li avessi io li nasconderei che altro non saprei che farci. invece quella ragazza, perché era una ragazza, giovane, indossava delle scarpe molto basse ed aperte che mettevano perfino in evidenza l'orribilità di quei maiali orribili, brutti e sgraziati. era una cosa veramente spiacevole da vedere, impossibile non notarli e non rimanere ipnotizzati una volta notati ed a me è venuto in mente che io, nel periodo in cui odiavo i miei maiali, che poi in realtà son dei maiali normalissimi, anzi adesso a distanza di anni li trovo perfino belli i miei maiali e mi domando cos'è che a vent'anni non mi piaceva di loro, ma, all'epoca, io li odiavo i miei maiali mi sembravano i maiali più orribili dell'universo ecco, in quel periodo in cui io odiavo i miei maiali io portavo, anche i piena estate, scarpe che li coprivano completamente, non vi era, nel mio armadio, una scarpa aperta che facesse neanche intravedere la carne, le dita. nulla. d'inverno scarponcini, d'estate le espadrillas o le cinesi. ecco, secondo me quelle coi maiali orribili che non si vergognano di mostrare i loro orribili maiali secondo me stanno tanto meglio di me. ma tanto.
percezioni
16.11.09
Per esempio
15.11.09
infinite morning lovesong (I was just 23)
14.11.09
Quando un libro vale
Quando cominci a comportarti inconsapevolmente come un personaggio della storia.
Quando cominci a parlare per citazioni sottolineate di rosso.
Quando a lavoro ti distrai mentre ti annoi pensando a cosa succederà alla protagonista femminile.
Quando ti porti il libro ovunque, meno che al cesso.
Quando corri a casa, apri la porta, ti butti a letto con addosso il cappotto per sapere come va avanti la storia.
Quando infili il libro in ogni discussione anche quando non c'entra niente.
Quando hai finito il libro e vorresti sapere che vita faranno dopo i personaggi.
Quando cominci a cercare ossessivamente ogni informazione possibile riguardante l'autore del libro.
Quando aspetti la trasposizione cinematografica per poi stroncarla successivamente.
Quando parli del libro a una ragazza che ti piace, anche se a lei non gliene frega niente.
Quando vai in crisi di astinenza da lettura e non hai potuto leggere per un giorno intero.
Quando cerchi la traduzione in russo del libro anche se non ci capisci una mazza.
Quando presti il libro agli amici,non te lo restituiscono e te lo ricompri.
Quando scrivi la data d'acquisto del libro sulla prima pagina per ricordarti come te la passavi in quel periodo.
Quando cerchi il libro tra tanti altri sugli scaffali polverosi.
Quando lo trovi in un negozietto di libri usati, nessuno se lo fila e ti incazzi
Quando il libro ti assomiglia così tanto che potevi scriverlo te
la fama, la notorietà e l'arte nel collettivo voci
anni
nei monti e poi il gelo dove i passeri stanno vicini
e minuscoli giardini dove qualcuno versa da bere
ci sono quelle sere che l'aria si piega sul prato
in un silenzio fiutato prima di tutto dai cani
quando tutte le cose insieme sembrano tacere
dura un minuto forse meno forse appena un fiato
ma è come se ti ricordassi di tutto: d'improvviso le mani
di qualcuno ti toccano la spalla e vorresti vedere
ancora tua madre da giovane e come svelato
il segreto dei grandi che erano stati bambini
con te e poi niente mangiati da altre primavere
ti volti guardi non c'è nessuno solo tu incorniciato
da scogli cortili palazzi vitigni strade nuvole anni.
13.11.09
12.11.09
Se proprio ti convinci a volermi sposare
effetti collaterali #2
11.11.09
Poesia politica n.36
Qualcuno che ricordi fino all'ultima goccia scivolata dai tuoi occhi
Qualcuno che rubi alla tua lingua l'alfabeto della grazia
Qualcuno che morda le tue labbra che comunque l'hanno vinta
Qualcuno che appenda falci di luna ai lobi delle tue orecchie
Qualcuno che annodi primavere ai rami scuri dei tuoi capelli
Qualcuno che si affacci dalla punta del tuo naso nobile
Sul giardino pensile del tuo collo francese
Qualcuno che soffi via la pioggia raccolta sulle tue spalle
Qualcuno che disegni la mappa di stelle insonni sulla tua schiena
Qualcuno che beva tè bianco dalla coppa delle tue ascelle
Qualcuno che si smarrisca una domenica a pregare sul tuo seno
Qualcuno che susciti miele dalla ferita del tuo ombelico
Qualcuno che bruci di febbre sui pomeriggi dei tuoi fianchi
Qualcuno che faccia delle sue mani guanti soffici per le tue dita
Qualcuno che navighi fiumi nei solchi azzurri dei tuoi polsi
Qualcuno che canti l'arte del taglio unico della tua fica
Qualcuno che faccia guanciali dei cumuli di neve delle tue natiche
Qualcuno che alle tue cosce sacrifichi eserciti di eroi omerici
Qualcuno che legga destini nell'impronta decisa dei tuoi piedi
esegesi dell'odio
effetti collaterali
Allora sono andato a leggere anche gli altri effetti collaterali.
Stanchezza, irrequietezza, capogiro, sonnolenza, allucinazioni, alterazioni del contenuto dei sogni, incubi, insonnia, formicolio, convulsioni, agitazione incluso comportamento aggressivo, irritabilità, tremore, depressione, pensieri ed azioni suicide.
Poteva andarmi peggio…
Lettera d'amore non spedita
Dalla finestra di cucina
10.11.09
E' sempre la stessa storia
la testa impegnata
Lettera a Topolino (n.2805)
Carlotta